Lavoro: perché le imprese hanno difficoltà a trovare personale?

Lavoro, le imprese fanno fatica a trovare personale qualificato: bisogna puntare su istruzione e formazione. Ecco l’analisi di Confindustria

Ci troviamo in una fase di cambiamenti radicali, alimentati anche dalla transizione digitale e dalle esigenze sul fronte della sostenibilità e dell’innovazione che continuano a incidere sul mercato del lavoro, il quale è ormai da anni in attesa di riforme abilitanti.

Continua a dominare un’asimmetria tra offerta e domanda che riguarda le figure professionali più disparate: dai lavoratori del turismo e della ristorazione – tradizionali eccellenze italiane – fino ai laureati in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche indispensabili per segmenti produttivi a più alta intensità tecnologica.

Il 69,8% delle imprese fatica a trovare personale e due su tre segnalano problemi nel reperire le competenze necessarie. Questo è quanto emerge dall’indagine Confindustria sul lavoro 2024, che evidenzia i problemi delle aziende nella ricerca di personale qualificato.

La maggior parte delle difficoltà riguarda la mancanza di competenze tecniche e capacità di svolgere mansioni manuali. Approfondiamo l’analisi di Confindustria per capire meglio questi risultati.

Lavoro: le imprese non riescono a trovare personale competente

L’indagine Confindustria sul lavoro, condotta tra febbraio e aprile 2024, analizza i dati del 2023 e dell’inizio del 2024 riguardanti l’occupazione e le politiche di gestione del lavoro delle aziende.

Secondo lo studio, il 69,8% delle aziende che cercano personale riscontrano difficoltà. Le principali problematiche riguardano la mancanza di competenze tecniche, segnalate dal 69,2% delle imprese, e problemi legati alle mansioni manuali, evidenziati dal 47,9% delle aziende a livello nazionale e dal 58,9% nel settore industriale.

Imprese: perché la maggior parte ha difficoltà a trovare personale?
Lavoro: perché la maggior parte delle imprese ha difficoltà a trovare personale? | pixabay @anaterate – Informagiovanirieti.it

 

Osservando i vari ambiti aziendali, emerge che in due casi su tre le difficoltà sono legate alla ricerca di competenze per la transizione digitale. In un terzo dei casi, i problemi sono connessi a una maggiore internazionalizzazione dell’impresa, mentre nel 15% dei casi riguardano la transizione green.

Per rispondere alla necessità di maggiori competenze, il 59,7% delle aziende intende avviare attività di formazione per il personale esistente. Inoltre, il 49% delle imprese ha utilizzato consulenze esterne e il 28,5% ha partecipato a programmi educativi locali.

L’indagine di Confindustria evidenzia anche l’uso del lavoro agile: nel 2024, il 32,6% delle aziende ha adottato lo smart working, una percentuale quadruplicata rispetto al periodo pre-Covid.

Soffermandosi nello specifico all’intensità di utilizzo dello smart working, nelle imprese dove è previsto, il 34% dei dipendenti non dirigenti ha utilizzato questa modalità di lavoro, lavorando da casa per due o tre giorni a settimana.

Dall’analisi emergono, inoltre, importanti numeri circa l’applicazione dei contratti collettivi aziendali e delle materie che vengono regolamentate da questi accordi. Un quarto delle imprese – il 25,2% . a inizio 2024 ha applicato un contratto aziendale, che è stato firmato con RSU/RSA o con delle rappresentanze territoriali. Nell’industria in senso stretto è stata registrata la diffusione maggiore, dove viene applicato nel 33,4% delle imprese. Percentuali minori si trovano nei servizi: 18,1%. L’applicazione maggiore avviene nelle imprese più grandi (76,9% in quelle con 100 o più dipendenti) rispetto a quelle più piccole (11,6% fino ai 15 dipendenti).

La contrattazione aziendale mostra una diffusione maggiore se viene calcolata sulla base degli addetti: risultano occupati presso aziende che la applicano il 65,1% dei dipendenti nel campione complessivo – media tra il 69% registrato nell’industria in senso stretto e il 59,1% registrato nei servizi.

Le materie regolate dal contratto aziendale – si legge nell’indagine – sono principalmente i premi di risultato collettivi (nel 60,4% dei contratti), la conversione dei premi di risultato in welfare (47,7%), l’orario di lavoro (46,7%), l’offerta di servizi di welfare aggiuntivi (39%), la conciliazione vita-lavoro (36,7%).

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